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Il Ponte dell’Abbadia è un’ardita opera dell’ingegneria etrusca, almeno per quanto riguarda la base. Il Dennis, famoso archeologo dell’800, nel suo “Città e Necropoli dell’Etruria” così lo descrive: “E’ davvero una costruzione magnifica, che scavalca l’abisso di roccia come un colosso, con il Fiora che si increspa e si copre di spume molto più in basso”.
Non possiamo fare a meno poi di riportare la esaustiva dissertazione che lo stesso Dennis fa sul Ponte, sulle sue origini e la sua evoluzione nel corso dei secoli: “A quale epoca risale il ponte, e da chi fu costruita? Il signor Vincenzo Campanari, che per primo lo fece conoscere al mondo, ritiene per certo che fosse opera etrusca; ma M. Lenoir, che possedeva un occhio più critico per tali cose, lo mise in dubbio. La verità è che il ponte appartiene a epoche diverse. Intanto presenta tre pilastri aggettanti di tufo rosso, molto danneggiati dalle intemperie, i quali ovviamente sono più antichi della costruzione in nenfro liscio è più duro che li riveste. Entrambi, tufo e nenfro, sono nella tecnica detta emplecton, come le mura di Sutri, Nepi, e Falleri; le parti in nenfro presentano, qua e là dei bugnati. Questo stile, dal momento che era stato adottato dai Romani, non offre alcuna chiara indicazione riguardo ai costruttori del ponte. Il rivestimento dell’arco, comunque, è di travertino, e può con sicurezza essere attribuito a quel popolo, poiché possiede caratteristiche in comune con i ponti di sicura origine romana: il Ponte d’ Augusto a Narni, e il celebre Pont du Card. Ritengo che pure l’acquedotto sia romano, per il semplice ratio che passa sopra archi di quella costruzione; poiché l’abilità degli Etruschi nell’arte idraulica è così bene documentata, è altamente probabile che i Romani fossero loro debitori per questo genere di costruzione. I piloni di tufo sono assai probabilmente etruschi, poiché essi con tutta evidenza rappresentano i pilastri del ponte originale; e possono essere stati uniti, come ritiene Lenoir, da una struttura orizzontale di legno – un espediente spesso adottato dai Romani, come nel caso del Sublicio – la quale in seguito cedette il posto alla costruzione muraria in nenfro della fine della repubblica, e agli archi. Questa sembra una ipotesi attendibile; e in mancanza di una migliore, sono disposto ad accettarla. Le parti in nenfro e in travertino sono, in ogni caso, dei tempi romani, qualunque possa essere l’antichità dei pilastri di tufo. Le enormi masse di stalattiti che drappeggiano il ponte sembrano indicare per l’intera struttura un’antichità remota e senza dubbio sono dovute a un lavorìo di secoli. Tuttavia non dobbiamo riferirci ad un periodo troppo antico; del resto, in un caso analogo a Tivoli, una galleria anticamente aperta nella parete di un dirupo, rivestita di opera reticolata romana, ha avuto l’imboccatura ostruita da una immensa formazione similare, del peso di molte tonnellateNo Records Found
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