Domenico Tiburzi, Domenichino per i celleresi, era solito nascondersi coi suoi compagni di banda in ogni anfratto e in ogni cavità che l’aspro territorio maremmano gli offriva. Sicuramente anche questa grotta ospitò il brigante nel corso dei suoi frequenti spostamenti in fuga dalle forze dell’ordine.
Ma la grotta oggi detta di Tiburzi sicuramente ha alle spalle una storia ben più lunga. Le tracce visibili all’interno dell’antro suggeriscono un suo utilizzo come riparo per pastori, carbonai e boscaioli, oltre che per briganti. La grotta, poi, è conosciuta anche con l’appellativo di mercareccia.
La merca era attività praticata una o due volte l’anno; consisteva nel radunare i vitelli nati nella macchia al fine di apporre su di essi un marchio a fuoco che ne indicasse la proprietà. Evidentemente questo riparo naturale deve aver avuto in passato un qualche importante ruolo nello svolgimento dell’attività sopra descritta.
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